Impossibile non essere innamorati di Wout Van Aert.  Perchè c’è un ciclismo senza Wout Van Aert e ce n’è un altro quando lui c’è, quando sta bene , quando combatte e quando vince. E si vede. Dalla polvere ci si rialza.  Dalla polvere si rinasce come l’Araba Fenice e dalla polvere oggi, in una delle tappe più temute del Giro numero 108, il fiammingo è tornato a riveder le stelle  vincendo  sulle strade bianche davanti ad un fantastico Isaac Del Toro che veste la maglia rosa e apre una bella questione nella Uae che qui al Giro era venuta con Juan Ayuso come capitano . Se la vedranno loro.

Ma Wout van Aert  che torna a vincere è la notizia che tutti gli innamorati di ciclismo aspettavano. Lo fa come solo lui può fare in quell’alternarsi avvincente e drammatico di emozioni che ne fanno l’ultimo degli “eroi” romantici da sempre in lotta con un destino  spesso avverso. Vince  con classe,  esperienza, con tutta la sofferenza di cui è capace senza mai mollare la ruota di un messicano scatenato  a cui deve concedere un bel pezzo di gioventù. Torna a vincere, ed è la sua prima volta al Giro, proprio in piazza del Campo a Siena dove quattro anni fa aveva vinto le Strade bianche con la maiuscola,  la sua prima sua vittoria su strada… E non è un caso.

Ciò che fa la differenza nelle strade bianche  non è l’ultimo muro, tremendo, di Santa Caterina al 18 per cento prima di arrivare in piazza del Campo.   La differenza è che qui si riavvolge il nastro di un ciclismo che forse negli ultimi anni è andato troppo veloce e nel cammino ha perso  un po’ della sua storia. Troppa fretta, troppa tecnologia, troppe gare, troppi interessi, troppe moto, troppo di tutto a confondere mito e leggenda con tappe inutili e ordini di arrivi non sempre all’altezza. Basta guardare i ciclisti imbiancati dalla polvere, li bici, le ammiraglie, le nuvole bianche che si sollevano al passaggio, i settori, i muri per capire che questa è una sfida antica, eroica, da uomo solo al comando tra polvere o fango, tra vigne, filari, casali e contrade che sanno d’altri tempi, tra  cipressi alti, schietti e giovinetti. Una sfida che porta a riscoprire l’anima e la meccanica del ciclismo dove ci si alza sui pedali con la forza che serve per saltare via brecciole, buche e cunette che ti si parano davanti su salite che non ti aspetti. Con le ruote che slittano, si fermano sugli strappi più duri, con le incognite di un guasto o di una foratura che sfuggono tattiche e algoritmi. Qui non ci sono mezze misure.

Ciò che fa la differenza nelle Strade Bianche è che la storia torna recente e ha riporta il ciclismo al centro e alla  sua origine. Che è un’origine semplice, popolare,  che capiscono tutti senza necessità di intermediari:  vince il più forte, punto. Oggi Wout van Aert è stato il più forte. Finalmente viene da dire, anche se qualcuno cominciava a dubitare, anche se troppe in questi ultimi tempi gliene sono capitate, anche se gli anni passano… Finalmente perchè vederlo perdere volate che una volta vinceva, arrancare  in fondo al gruppo, staccarsi,  provare ad allungare sul lungomare di Napoli e spegnersi 400 metri dal traguardo era una sofferenza per lui, per i suoi tifosi e per tutti gli innamorati di ciclismo. “La mia famiglia è qui in piazza del Campo ma in realtà è sempre con me- spiega al traguardo- é solo grazie a loro se sono ancora un corridore…”. Che poi uno ci pensa e se le fa le domande: ma chi glielo fa fare? Perchè non lascia il Giro? Perchè non la chiude qui… Oggi è arrivata la risposta che tutti aspettavano. Perchè c’è un ciclismo con Wout van Aert e ce n’è un altro senza di lui. Che però è più triste…