Ulissi in rosa, una maglia che serve a restar giovani e a non aver rimpianti
Dalle nostre parti la maglia rosa finisce sulle spalle di chi forse non se l’aspetta però se la merita. Eccome se se la merita. Così era capitato l’11 maggio di quattro anni fa a Sestola, in un giorno di pioggia e freddo, quando a vestirla fu, ultimo dei nostri, Alessandro De Marchi che coronò a 34 anni il sogno della sua vita. E così capita oggi con il testimone che passa dalle mani del “rosso di buja” a Diego Ulissi, livornese classe di anni 36, un pezzo di storia del nostro ciclismo, già otto vittorie al Giro, una carriera infinita per 15 anni bandiera dello stessa squadra e da quest’anno alla XDS-Astana Team.
Oggi da Giulianova a Castelraimondo, dopo 197 chilometri tutt’altro che tranquilli, era partito con altre idee per la testa. Una fuga, una tappa, un piazzamento chissà… Ma il destino per i ciclisti e un po’ come il vento, che non puoi vedere, che non puoi prevedere, che quasi sempre ti soffia in faccia a complicarti la vita ma che ogni tanto ti sorprende e ti fa volare. E allora l’ottava la vince Luke Plapp ma , senza nulla togliere all’australiano, il giorno è solo quello di Diego Ulissi che arriva terzo dietro a Wilco Keldermann ma indovina la tappa di tutte le tappe. Non se l’aspettava la maglia rosa e l’urlo al traguardo quando, dopo oltre 4 minuti arriva il gruppo con Primoz Roglic a ufficializzare il cambio di casacca, racconta la gioia e la sorpresa meglio di tante parole.
I corridori al traguardo fanno sempre fatica a mettere in ordine i pensieri, tormentati come sono dalla stanchezza, dalla delusione o dalla gioia. Ulissi non fa eccezione, c’è un rosa che colora una carriera vissuta in avanscoperta, coraggiosa e combattiva. Un rosa che gli fa brillare gli occhi che lo emoziona, che lo fa sentire sospeso: “E’ il sogno di qualsiasi bambino che si affaccia al ciclismo ancor di più se italiano- racconta all’arrivo- Appena prima di vestirla pensavo ai pomeriggi passati coi miei nonni, sognando di vestirla, sognando di essere qui…”.
Un sogno cullato da sempre, da quando Giuseppe Saronni lo lanciò con la maglia della Lampre e da quando Michele Scarponi lo volle al suo fianco nel suo primo Giro d’Italia nel 2011 dopo che, un anno prima, lo aveva battuto nel Gran Premio di Prato. “Avevo già realizzato il sogno di vincere alcune tappe- spiega- ero andato vicinissimo ad indossarla ma non ci ero mai riuscito. Farlo a fine carriera, perché ormai l’età avanza, è una soddisfazione enorme. Sono stati bravi a gestirmi dall’ammiraglia i ds, sapevo il mio vantaggio ma inizialmente l’obiettivo era vincere la tappa. Poi quando ci siamo resi conto che Plapp era più forte, abbiamo puntato tutto sulla Rosa. Domani si arriva nella mia Toscana, sarà emozionante, ma stasera dormirò con questa maglia perché non sono sicuro di riuscire a tenerla. Voglio godermela fino in fondo”.
A trentasei anni una maglia rosa ha un colore più intenso. A trentasei anni per uno che va in bici di mestiere cambiano le prospettive, le angolazioni, c’è forse la tentazione di voltarsi indietro, di guardarsi alle spalle, di far bilanci. E allora ecco che una maglia rosa è energia pura per rilanciare, per continuare a scattare, per accettare la sfida di chi magari ha dieci, quindici anni meno, per fare i conti con un ciclismo che va avanti veloce, che cambia strategie, tecnica, che si allena diversamente, che si nutre diversamente, che si perfeziona. A trentasei anni la maglia rosa serve a restare sul pezzo. E forse serve anche a non avere rimpianti.