Dopo Barocci ecco Cantarini il Pesarese. Celebrati gli artisti marchigiani. Mostra-evento al Palazzo Ducale di Urbino
Alla Galleria Nazionale delle Marche inaugurata la nuova grande mostra dedicata a un artista marchigiano. Obiettivi, temi e contenuti di un’esposizione epocale che celebra anche la fine del Ducato di Montefeltro
Dopo il grande successo ottenuto nel 2024 con la mostra dedicata a Federico Barocci, la Galleria Nazionale delle Marche prosegue nella celebrazione degli artisti marchigiani.
Aperta a Palazzo Ducale di Urbino la mostra monografica dal titolo Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, che poi proseguirà fino a domenica 12 ottobre 2025.
Curata da Luigi Gallo (Direttore della Galleria Nazionale delle Marche), Anna Maria Ambrosini Massari (Docente di Storia dell’arte moderna all’Università di Urbino) e Yuri Primarosa (Storico dell’arte), e organizzata in collaborazione con le Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma, l’esposizione testimonierà l’estro pienamente moderno del giovane pittore attraverso una selezione di 56 dipinti.
Prima del suo genere a Urbino, città che il giovane Cantarini frequentò, la mostra è anche l’occasione per celebrare l’ingresso, nelle collezioni di Palazzo Ducale, delle opere del Pesarese che, dopo il deposito della collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e delle due grandi pale arrivate dalla Pinacoteca di Brera con il progetto 100 opere tornano a casa, presto si arricchirà di un ulteriore nucleo di opere, grazie all’accordo di comodato sottoscritto con Intesa Sanpaolo, comprendente anche cinque dipinti di Cantarini.
«La mostra è l’espressione di un museo che cresce – afferma Luigi Gallo – e, dopo Federico Barocci, prosegue nella celebrazione degli artisti marchigiani, offrendo al pubblico la meravigliosa pittura di Simone Cantarini. In lui si cristallizza l’eredità di una regione unica per varietà e importanza del patrimonio culturale che il Palazzo Ducale di Urbino – Direzione Regionale Musei Nazionali Marche è chiamato a trasmettere e valorizzare, solidamente guidato dal superiore Ministero della Cultura. Dalla ritrattistica alla pittura sacra, dai quadri di devozione alle composizioni filosofiche e profane, l’esposizione dedicata a Cantarini è un percorso comprendente opere provenienti da collezioni pubbliche e private, nazionali e internazionali, che offrono un’occasione preziosa per conoscere la straordinaria creatività del Pesarese. Mi preme anche sottolineare la generosa collaborazione delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma, così come l’approfondita azione di studio condotta da una squadra di eminenti esponenti del mondo accademico e della conservazione che hanno reso possibile l’esposizione. È importante infatti che il museo si affermi come luogo della ricerca scientifica: spazio vivo e vitale per creare infinite occasioni di conoscenza. Il restauro di numerose tele, sostenuto da Palazzo Ducale, dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica e da sponsor privati cui vanno i nostri più sinceri ringraziamenti, ha permesso di conoscere meglio la tecnica di Cantarini, riscoprire la freschezza della sua pennellata e il fascino della sua opera».
Importante occasione
Nato a Pesaro nel 1612 e scomparso prematuramente nel 1648, in circostanze ancora misteriose, Simone Cantarini – il più grande pittore marchigiano del Seicento – sarà celebrato 28 anni dopo la memorabile mostra organizzata a Bologna da Andrea Emiliani.
L’esposizione che si tiene negli spazi di Palazzo Ducale di Urbino intende presentare al pubblico una selezione altrettanto ricca di opere del Pesarese, il cui corpus pittorico – accresciutosi notevolmente – sarà per l’occasione ulteriormente incrementato da opere inedite provenienti da collezioni pubbliche e private.
Grazie a prestigiosi prestiti da musei italiani ed europei, importanti opere di Cantarini ospitate negli ambienti storici di Palazzo Ducale, recentemente riallestiti, saranno accostate per la prima volta a numerosi capolavori del pittore e di maestri a lui contemporanei, al fine di presentare al pubblico l’intera parabola artistica del pittore nel suo contesto.
Tracce storiche. Il 28 maggio del 1621 allo scoppiare della primavera, il corteo festoso che accompagnava la coppia ducale composta da Federico Ubaldo della Rovere e Claudia dei Medici, freschi sposi, attraversa gli archi trionfali effimeri eretti in Pian di Mercato, decorati dalle tele a monocromo di Claudio Ridolfi e Girolamo Cialdieri, conservate alla Galleria Nazionale delle Marche e presentate in apertura della mostra, raffiguranti “fatti diversi matrimoniali della Serenissima Casa d’Urbino” e otto figure allegoriche. Il popolo celebrava la continuità dinastica che avrebbe assicurato lunga vita al Ducato fondato da Federico da Montefeltro, raffinato enclave politico e culturale ormai accerchiato dallo Stato Pontificio.
Fu solo una speranza, terminata con la morte prematura di Federico Ubaldo il 29 giugno del 1623, cui segue la firma il 4 novembre del 1626 di un atto formale dove il vecchio Francesco Maria II rinunciava al potere e cedeva il ducato a Urbano VIII Barberini. Ritiratosi da tempo in una sorta di fuga mundi nel silenzio delle colline del Montefeltro a Casteldurante, nel palazzo eretto da Francesco di Giorgio che domina un’ansa del Metauro, l’ultimo duca aveva creato intorno a sé una corte aristocratica e coltissima, dove eccelsero personalità talentuose come Federico Barocci, traccia palpitante di un mondo cortese in disfacimento.
Negli ultimi penosi anni, depresso e senescente, il duca cedeva il governo dello stato fino alla sua morte avvenuta a Casteldurante il 28 aprile 1631. Finalmente Urbano VIII, il 12 maggio, proclamava l’annessione del Ducato allo Stato Pontificio, cambiando per sempre il destino di una terra che perdeva la sua indipendenza e da centro si faceva periferia, per citare le seminali indagini di Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg. La stessa Casteldurante cambiava nome in Urbania in omaggio a Papa Barberini. Urbino, Pesaro e le terre ducali sono ormai una patria perduta, origine ideale per gli artisti e intellettuali che prendono il via verso Roma e Bologna, dove si cristallizza il nuovo potere.
Eppure, la perdita di identità politica non corrisponde, almeno nei primi anni, alla fine di uno specifico linguaggio artistico manifestatosi nel Rinascimento con l’opera di Raffaello, Genga, Zuccari e Barocci: una tradizione figurativa complessa e variegata, aggiornata alle tendenze caravaggesche con l’esperienza più tarda di Guerrieri, che trova esiti pienamente autonomi nell’opera di Simone Cantarini, nato a Pesaro nel 1612 – lo stesso anno in cui scompare Barocci – e morto drammaticamente a soli 36 anni.
L’obiettivo della mostra. Il progetto espositivo si pone l’obiettivo di approfondire aspetti ancora poco noti della produzione artistica di Cantarini: la sua prima attività nella terra d’origine, i rapporti con la famiglia Barberini e in particolare con il cardinal legato Antonio Barberini junior, il funzionamento della sua bottega e, in filigrana, il suo rapporto con Guido Reni a Bologna, segnato dal litigio a seguito della Trasfigurazione di nostro Signore commissionata dai Barberini nel 1637 per la chiesa del Forte Urbano a Castelfranco.
Mentre il Montefeltro scompariva dall’orizzonte della storia sotto l’assalto dei Medici prima e di Urbano VIII Barberini dopo, il Pesarese metteva a punto un linguaggio straordinariamente innovativo, frutto della sua formazione marchigiana sotto il segno di Raffaello e Barocci, unita al modello reniano appreso a Bologna tra il 1630 circa e il 1639 e allo studio dell’antico al quale si era dedicato nel biennio romano inquadrato nell’equipe di casa Barberini (1640-1642).
La sua originale sintesi di classicismo e naturalismo, riconducibile al suo ritorno a Bologna a seguito della morte di Guido nel 1642 e alla disfatta dei Barberini segnata dalla guerra di Castro del 1641 e dalla morte del papa nel 1644, chiudeva un’epoca gloriosa, all’insegna di nuovi orizzonti. Il soggiorno romano si presentava infatti come una sorta di ritorno al grande stile dei bolognesi e tornato a Bologna, Simone si dedicò molto all’invenzione e all’elaborazione del progetto. Il suo linguaggio, che diventò vera e propria maniera, non guardava infatti soltanto ai modelli aulici dei campioni urbinati, ma si apriva a ventaglio a stimoli più aggiornati, provenienti da Roma e Bologna.
I temi dell’esposizione. L’esposizione ruoterà attorno ai seguenti nuclei tematici: il ritratto – per cui secondo Carlo Cesare Malvasia (1678) Cantarini era “provisto di una particolar dote” – (Autoritratto, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Galleria Corsini; Ritratto di Guido Reni, Bologna, Pinacoteca Nazionale; Ritratto di Eleonora Albani Tomasi, Pesaro, Collezione Banca Intesa Sanpaolo; Ritratto di Antonio Barberini junior, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini), i temi profani (Allegoria della pittura, Repubblica di San Marino, Collezione Cassa di Risparmio; Ercole e Iole, Roma, Collezione privata; Giudizio di Paride, Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, in deposito presso Urbino, Galleria Nazionale delle Marche) e il rapporto di Cantarini con gli altri maestri del suo tempo, a partire appunto da quello col Reni, che verrà mostrato nel percorso espositivo attraverso il confronto con alcune delle produzioni che Simone emulò come il San Girolamo (Parigi, Galerie Canesso), il Davide e Golia (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche – donazione Volponi), il San Giuseppe (Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Galleria Corsini) e il San Giovanni Battista (Londra, Dulwich Picture Gallery).
Accrescimento collezionistico. Tra i tanti motivi di questa mostra, vi è anche la necessità di palesare il sostanziale accrescimento collezionistico della Galleria Nazionale delle Marche, che solo da qualche anno vanta la presenza del Pesarese.
Infatti, diversamente da Barocci le cui opere, provenienti per lo più da chiese demanializzate, sono parte del primo nucleo collezionistico del museo, la pittura di Simone Cantarini è entrata a Palazzo Ducale grazie a tre recenti depositi di opere presso Palazzo Ducale.
Nel 2019, con un comodato rinnovato nel 2024, la preziosa raccolta della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, che insieme ad altre 140 opere ha portato quattro capolavori del Pesarese: le due delicate Madonne con Bambino, la Sacra Famiglia come Santissima Trinità ed il raffinato Giudizio di Paride.
Nel 2021, nell’ambito del progetto “100 opere tornano a casa” voluto dal Ministero della Cultura, sono giunte a Urbino, insieme ad altre tre di Barocci e Pomarancio, le due straordinarie pale d’altare raffiguranti i Santi Barbara e Terenzio e la Visione di Sant’Antonio, provenienti dai depositi della Pinacoteca di Brera, razziate dalle truppe napoleoniche sul territorio marchigiano.
Nel 2025 il nucleo di opere concesso in comodato da Intesa Sanpaolo alla Galleria Nazionale delle Marche e comprendente anche 10 opere del paesaggista settecentesco De Marchis e una tavola del Bellinzoni, implementa in maniera sostanziale la raccolta cantariniana con ben cinque tele: due delicate Sacre Famiglie, la Sibilla che legge, l’Erminia tra i pastori e l’intenso Ritratto di Eleonora Albani. Le opere dialogano nelle sale della mostra con i prestiti giunti da ogni dove, restituendo alla Galleria Nazionale delle Marche la voce del maggior artista marchigiano del Seicento.
Una curiosità: le doppie versioni. Nella mostra una particolare attenzione verrà posta anche all’accostamento delle doppie versioni delle sue invenzioni più celebri.
Saranno infatti presenti quattro tele con San Girolamo (una proveniente dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna e le restanti da collezioni private italiane ed estere), due versioni di Loth e le figlie (collezione privata e Rivoli, Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte), San Giovanni Battista (Roma, Galleria Borghese e collezione privata), le variazioni sul tema della Sacra Famiglia (Roma, Galleria Colonna; Gallerie Nazionali di Arte Antica, Galleria Corsini; Galleria Borghese e Madrid, Museo del Prado).
In mostra, inoltre, sarà messo a fuoco il contesto storico e culturale in cui l’artista visse prima e dopo il 1631, anno della devoluzione di Urbino allo Stato della Chiesa: esemplare a tal proposito è il San Giovanni Battista di Valentin de Boulogne (Apiro, collegiata di Sant’Urbano), commissionato da Giovan Giacomo Baldini, archiatra di papa Urbano VIII e appartenente alla cerchia intellettuale dei Barberini.
La presenza in mostra di quasi tutti i più significativi “quadri da stanza” di Cantarini – alcuni dei quali restaurati per l’occasione – costituirà un’opportunità difficilmente ripetibile per mostrare al pubblico l’attività dell’ultimo grande maestro del Montefeltro, ancora poco conosciuto fuori dal ristretto circuito degli storici dell’arte.
La mostra, infine, è arricchita dal catalogo scientifico edito da Officina Libraria che ospita saggi e schede delle opere in mostra trattati dai massimi studiosi dei temi affrontati.
Carlo Franza