La grande poesia di Umberto Piersanti. “L’isola tra le selve” è un’antologia fatta di luce come un miracoloso affresco.
“Tutto è intimo”, scriveva Friedrich Hölderlin. Anche il fuori, la realtà esteriore. Anche un paesaggio invernale, anche il trascorrere e animarsi delle stagioni con l’autunno e la primavera. Animali e piante dei boschi e dei monti delle Cesane, profili, figure care come la madre e il figlio, luoghi e persone, di tutto ciò e altre accensioni, Umberto Piersanti fra una terna dei maggiori poeti italiani ci consegna versi che sono miracolosi affreschi, una poesia della bellezza che è l’armonia tra dentro e fuori (“… Itaca è là/ così vera/ e presente,/ fatta di terra/ e acque e foglie,/ l’hai intravista/ e persa mille volte,/ un’isola nel mezzo/ di fitte selve,/ forse impossibili da solcare”).
Il titolo del libro è ripreso da una bellissima poesia dell’autore; titolo che per Umberto Piersanti significa esattamente quello che vuol dire, un angolo di territorio che non solo orienta il senso della lirica, ma ne svela la sua esistenza inquieta. Non solo, “l’isola tra le selve” che figura nel libro tra le poesie nuove, datata 2023, racchiude e si svela come una bibbia visiva, il viaggio del poeta verso la sua Itaca, il viaggio verso i luoghi vissuti dell’infanzia, della giovinezza e oggi della maturità. Tutto si narra e si svolge in un andirivieni che sa di un tempo altilenante dove la memoria giuoca un ruolo distensivo e ticchettante (“il fiore dell’ornello dura poco/ largo più della foglia e frammentato/ dalle ripe del Furlo fino a Urbania / striscia d’odori bianchi tutte le macchie/ sono quei dieci giorni quando la terra/ gonfia è di piante e d’erbe più d’ogni tempo/ e il merlo vola basso sopra i rovi/ si tuffa nero dentro i biancospini…”). Nella poesia di Piersanti insorge sovente e motivo costante, un tipo di svolta memoriale che dalla realtà passa a un ordine diverso orientato tra un dato metafisico e la coperta allusione simbolica. Il dato memoriale si trasforma in sensazione e se il ricordo è passato qualcosa ne rimane pure (“in questo brano di terra/ che sta sopra l’antico, / scuro fosso ventoso/ dei giorni miei, / remoti, / tornano i fiordalisi, / l’azzurro stelo mischiato/ al rosso del papavero/ tra il grano…”).
Un duplice rito di filiale pietas affiora nei versi dove la madre è ricordata entro un ambito di larica e laica sacralità (“madre ch’eri fra tutte la più gentile/ persa con le tue amiche in fondo al fosso/ lunga la treccia sul tuo corpo snello/ scende fino alla vita, nell’acqua chiara/ hai camminato scalza, scosti le brecce…”) e oggi con il senso di penosa senilità tutte quei ricordi affidati in cornice a momenti sostanziali, diventano una sorta di liturgia sull’altare della vita (“che tempo è stato/ madre, così lontano e perso/ che il sogno non l’uguaglia, / certo fu prima, prima della Storia, / d’ogni casa e memoria, / stavi sulla cima del greppo/ e scende il grano verde/ fino al fosso colmo di cespi/ e vento, / eri/ alta come una quercia, / snella come una canna …”).
La madre rievocata con una luce focalizzata e una efficacia preziosa non appare in figura, ma con forza emerge presente tramite il senso del suo non essere più concretamente partecipata al luogo dove una volta fu vera ed attuale (“…solo un anno è passato, ma tu eri viva/ e camminavi svelta fra le macchie/ madre com’era viva come parlavi forte/…”.) Da non tralasciare quel nucleo di liriche dietro cui si cela apertamente il figlio, l’argomento filiale, amoroso, innervato nelle occasioni quotidiane, nel tempo doloroso dell’oggi (…sei cresciuto Jacopo/ dall’altr’anno,/ ma i giochi e lo sguardo / sono gli stessi, figlio, il tempo non ti riguarda/ il cerchio delle luci/ le feste ora passate/ la luna di gennaio/ ch’esce più tardi…” ; o ancora “ …dentro le nuove stanze/ e i nuovi giorni/ oggi sta il padre / insieme con la madre / e a te figlio così / grande e possente/ ma ai giorni della nascita/ tornato, dentro/ la tua vicenda/ fatti eterni…”).
Riaffiorano spesso i dettagli, i fatti, le situazioni, e troppi versi svelano sul versante stilistico e tematico, distintamente, il modulo tipico piersantiano del genere “autobiografia”. Le occasioni di vita e i ricordi che si susseguono si traducono in una processione di calde serie di immagini composte entro un ritmo estremamente melodico e narrativo, anche persuasivo, suggestivamente trasognato. Molte liriche hanno il merito, come un po’ tutta la poesia di Piersanti -visto che questo volume vive per una scelta da più raccolte, e si presenta come la prima grande antologia del poeta– di risvegliare il verbo poetico al fondo della coscienza laddove esso è sepolto in una condizione di oblio, tramite l’abbandono al flusso mnestico-sensoriale che lo sollecita.
E’ una sorta di breviario poetico il volume “L’isola delle selve”( prefazione di Massimo Raffaelli, pp. 234, Marcos Y Marcosa, 2025), dove la scansione ritmico-musicale dei versi minori del novenario ha come fine di modulare in misure cantabili taluni temi per nulla leggeri.
L’ora serale del tramonto, un topos di tutta la lirica moderna, trova in Piersanti una stimmung elettiva e costante, di cui uno tra i più notevoli esempi è “(… s’accendono improvvise avanti sera/ scorgi anche luci sospese nell’aria…ormai d’ottobre presto viene sera la chiesa sola resta bianca nell’erba…”).
La poesia piersantiana solitamente muove da un massimo di concentrazione e di movimento, o già lo ritrae declinante, per poi emotivamente assestarsi, diradarsi, fino a un calmo e assorto silenzio. Il raccontare in versi è il frutto di un compromesso, sicchè abbandonate le strade dell’analisi interiore, dell’affermazione dell’Io lirico espanso o inflesso del poeta Piersanti, il compromesso prevede, che la poesia affinchè non si riduca al silenzio, o in una sorta di ritirata e di autolimitazione; sul piano della ‘voce’ poetante ecco allora il rifugiarsi sotto le spoglie di un Io ‘travestito’, un Io che parla di sé parlando d’altro e che finge di parlare di sé per parlare d’altro, e sul versante dei contenuti un discendere al basso, alla quotidianità, nei suoi aspetti familiari e privati, e nello stesso tempo un uscire dalla psiche verso le cose, i fatti, gli accidenti concreti.
Anche l’ora topica dell’alba costituisce un focus essenziale della poesia piersantiana, assieme al tramonto e con un suo costante repertorio di motivi (“…era ormai sera vidi l’orchidea/ altissima, bagnata dalla luce,/ morbida, che arriva quando imbruna…”).
Forme metriche aperte e chiuse, versificazione tendenzialmente regolare, una pronuncia ferma e perspicua, quasi eloquente, una terminologia osservabile nell’ossessiva precisione con cui, nei suoi versi, usa la nomenclatura ornitologica e botanica per sottolineare le sue conoscenze nella materia e nella capacità di classificare rigorosamente i diversi aspetti; insomma, una veste formale che a prima vista sembrerebbe non solo aliena da velleità sperimentali, ma quasi compiaciuta del carico di tradizione linguistica che avvolge una materia prosaica, dimessa, equamente distante da accensioni sublimi e da cadute troppo realistiche.
In tante poesie, l’esistenza, il vivere quotidiano, i problemi impellenti del vivere, si correlano alla natura visitata e descritta in lungo e in largo, quella sua geografia, quel fazzoletto ampio di terra che lo ha visto ragazzo, poi crescere e vivere; qui il morso delle cose e parallelamente una simbolica lucentezza timida e segreta, incapace di manifestarsi in aperta luminosità, figura di un mondo che anela a rivelarsi.
Un contrappunto tra buio e luce, chiaro e scuro, contornato da aloni simbolico e orientato verso un’idea dell’infanzia viva ma perduta, e se oscurata volta sul riflesso del proprio biancore. Circa le intime risonanze tematiche, le immagini delle Cesane, eppoi le stelle come ruolo consolatorio, ma emblemi di stabilità e di costanza sotto cui volge una vita esiliata, geograficamente aleatoria. E costituiscono gli elementi di un fisso, di riferimento al proprio cielo natale.
Di continuo vive l’idillio dove il poeta esprime in una sorta di incanto, la beatitudine di ritrovare il senso della natura, cioè della poesia come spazio dell’Io e come forma deputata del canto stilisticamente sostenuto, dall’altro, del realismo, cioè della letteratura come interpretazione e mimesi del mondo. Topos tutti modernamente applicati a fini di un prosaicizzante risultato. La nostalgia nasce dalla perdita, e non può essere che nostalgia di vita quotidiana, di piccoli fatti, di microstorie dalle quali si sprigionino i profumi di un tempo scomparso (“…l’autunno ha aromi/ rari il tartufo nelle colline/ di genga sottoterra, il melograno/ su negli orti sospesi dentro i muri / ma è più buono l’odore di quercella/…”). Ho usato il termine ‘microstorie’ perché in questa poesia la dimensione del racconto è primaria. C’è da chiedersi a quale genere poetico appartenga un testo in versi che consente di essere riassunto con tanta ampiezza e ricchezza di particolari e coerenza narrativa. Piersanti aveva materiali per imbastire una novella in prosa e invece costruisce una poesia che è in parte lirica nel senso comune del termine, ma anche narrazione in versi e questo non è il solo caso nella sua non vastissima produzione, tanto che si può affermare che la narratività è una delle cifre più caratteristiche del suo modo di poetare. Assai spesso, poi, la tendenza al racconto si accompagna, per non dire si appoggia, a un uso insistito del monologo. Il libro, l’antologia, tutto muove fra prosaico, musicalità, e lessico colto e umile; senza trascurare la semplicità sintattica, l’uso insistito del dialogato e di figure retoriche di tipo iterativo che conferiscono una rattenuta melodicità. Ma in lui c’è una radicalità che lo distingue dagli altri poeti del secondo novecento. È una radicalità psicologica e ideologica che sfocia, sul piano della resa poetica, in una dizione più forte e risentita, in più accentuati contrasti tonali, in una gestione più drammatica della dialettica tra sogni, memorie, tradizioni, umanità, passioni e vitalità.
Umberto Piersanti è nato ad Urbino nel 1941 e nella Università della sua città insegna Sociologia della Letteratura. Le sue raccolte poetiche sono La breve stagione (Quaderni di Ad Libitum, Urbino, 1967), Il tempo differente (Sciascia, Caltanissetta- Roma, 1974), L’urlo della mente (Vallecchi, Firenze, 1977), Nascere nel ’40 (Shakespeare and Company, Milano, 1981), Passaggio di sequenza (Cappelli, Bologna, 1986), I luoghi persi (Einaudi, Torino, 1994), Nel tempo che precede (Einaudi, Torino, 2002), L’albero delle nebbie (Einaudi, Torino, 2008) che ha vinto i seguenti premi: Premio Pavese Città di Chieri, Premio San Pellegrino, Premio Giovanni Pascoli, Premio Tronto, Premio Mario Luzi, Premio Alfonso Gatto, Premio Città di Marineo. Nel 1999 per I quaderni del battello ebbro (Porretta Terme, 1999) è uscita l’antologia Per tempi e luoghi curata da Manuel Cohen che ha anche scritto il saggio introduttivo. Nel 2015 è uscita per Marcos y Marcos la raccolta poetica Nel folto dei sentieri. Umberto Piersanti è anche autore di quattro romanzi, L’uomo delle Cesane (Camunia, Milano, 1994), L’estate dell’altro millennio (Marsilio, Venezia, 2001), Olimpo(Avagliano, 2006) e Cupo tempo gentile (Marcos y Marcos, 2012), e di due opere di critica: L’ambigua presenza (Bulzoni, Roma, 1980) e Sul limite d’ombra (Cappelli, Bologna, 1989). Ha curato insieme a Fabio Doplicher l’antologia di poesia italiana del secondo novecento Il pensiero, il corpo (Quaderni di Stilb, Roma, 1986). Ha realizzato un lungometraggio, L’età breve (1969-70), tre film-poemi (Sulle Cesane, 1982, Un’altra estate, Ritorno d’autunno, 1988), e quattro “rappresentazioni visive” su altrettanti poeti per la televisione. Le sue poesie sono apparse sulle principali riviste italiane e straniere come “Nuovi Argomenti”, “Paragone”, “il verri”, “Poesia”, “Poetry” etc. In Spagna, nel 1989, presso l’editore Los Libros de la Frontera, collana El Bardo, è uscita l’antologia poetica El tiempo diferente (testo italiano a fronte, traduzione di Carlo Frabetti). Un’altra antologia tradotta da Emanuel di Pasquale è stata pubblicata negli Stati Uniti con il titolo Selected Poems 1967-1994 (Gradiva Publications – Stony Brook, New York, 2002). È presente anche in numerose antologie italiane e straniere e tra i premi vinti ricordiamo il Camaiore, il Penne, il Caput Gauri, l’Insula Romana, il Mastronardi, il Piccoli, il Frascati. Tre testi filmici L’età breve, Nel dopostoria e Sulle Cesane insieme a numerosi interventi sulla sua opera cinematografica, sono usciti nel volume Cinema e poesia (Cappelli, Bologna, 1985) a cura di Gualtiero De Santi. Attualmente dirige la rivista Pelagos.
Carlo Franza